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Da Ivrea a Sarno, la Torres è tornata

 

di Andrea Sini

5 ottobre 2012

Cento mani al cielo, mille orecchie incollate alle radioline, il gol su rigore di Frau, la gioia per una salvezza effimera, quasi beffarda. Un arrivederci diventato praticamente un addio, il rossoblù che si scolorisce, la porta dell'inferno che si apre e ingoia tutti: società, giocatori, tifosi. Soprattutto i tifosi. Quelli che c'erano, a Ivrea, più di cinquanta; e quelli che non c'erano, ma che non hanno mai abbandonato una nave speronata e affondata da una gestione societaria piratesca.

IvreaQuasi nessuno ricorda più Ivrea-Torres, eppure sono passati soltanto quattro anni e pochi mesi. Detto così sembra niente. Invece dentro quei 1617 giorni e quegli 891 chilometri che separano Ivrea da Sarno c'è il buio, il terrore, l'umiliazione del campo di periferia, la polvere della terra battuta, la rabbia dell'esclusione.



Ecco, detto così rende un po' meglio.

Domenica c'è Sarnese-Torres. Hai detto niente.

Invece hai detto tutto: domenica la Torres rimette piede in Continente per una partita di campionato dopo oltre quattro anni. Dopo un fallimento, dopo un campionato di Promozione e tre di Eccellenza. Tutti nella melma del calcio sardo, un guado affrontato in mezzo a mille difficoltà, insieme a mille tifosi. Quelli che hanno tenuto alto un vessillo che sta per compiere 110 anni. Uniche “evasioni” dalla Sardegna, le sfide di coppa Italia a Rieti e Termoli e quella per i playoff a Città di Castello contro il Trestina.

Ivrea-Torres sembrava il culmine di una stagione prima esaltante, poi terribile, comunque un punto di arrivo accettabile in un periodo di crisi. E invece era soltanto la porta dell'inferno. C'era un allenatore emergente, un ottimo gruppo di giocatori sardi, diversi continentali cazzuti e pronti a farsi in quattro per la causa. La Torres in casa era una scheggia e nel girone d'andata aveva vinto sempre. Era stata a lungo prima in classifica. A due anni dal disastro firmato Carta-Mele-Tusacciu e dalla ripartenza in C2 con il lodo Petrucci, il ritorno immediato in C1 sembrava possibile. Poi i rubinetti degli stipendi che si chiudono, le magagne del presidente Mascia che iniziano a venire a galla, gli ispettori della Covisoc che visitano gli uffici della società e ne escono con i capelli dritti. A un certo punto, con la squadra ancora in piena corsa per i playoff, la retrocessione a tavolino della Torres sembra dietro l'angolo. Invece la Commissione disciplinare si riunisce e decide che 8 punti di penalizzazione possono bastare. Una penalizzazione da scontare subito. I rossoblù piombano nella parte bassa della classifica ma sembra comunque una vittoria. Molti tifosi, nel tardo pomeriggio di quel 22 aprile 2008, si danno appuntamento in un bar per brindare alla salvezza della società. Non sanno che la tempesta, quella vera, deve ancora arrivare.

Ci sono da giocare ancora alcune partite, la squadra c'è e l'impegno dei giocatori, che non beccano una lira da mesi, è commovente. Ma per conquistare la salvezza (almeno sul campo) prima dell'ultima giornata manca un punto. La Torres va a Ivrea scortata da tantissimi tifosi. I piemontesi segnano subito, ma il tifo sale alto dal settore ospiti e la squadra reagisce. Forse è l'orgoglio torresino, forse l'Ivrea si impietosice e allenta la pressione: a 9 minuti dalla fine un difensore di casa strattona platealmente Massaro in area. E' rigore, non c'è dubbio. Sul dischetto va Alessandro Frau, la palla fila dritta verso la porta e la rete si gonfia. E' il gol-salvezza.



La città delle arance vede la festa rossoblù, ma la situazione societaria è completamente compromessa. Nelle settimane successive succedono fatti incredibili, che meriterebbero un libro: Mascia sparisce mentre gli organi federali di controllo gli stanno alle calcagna, i tifosi scendono in campo e fanno di tutto per convincere la società a pagare le pendenze e presentare regolarmente l'iscrizione al campionato. Dal pomeriggio nel bar di via Tempio, dove Mascia era stato “beccato” l'ultimo giorno utile per il pagamento degli stipendi, alla drammatica notte nel buio dell'Acquedotto in attesa della firma delle liberatorie; dalla corsa verso l'aeroporto di un tifoso che carica di forza un dirigente sull'aereo, alla consegna della documentazione in zona Cesarini in Figc, dove una segretaria di buon cuore ha tenuto la sede aperta in attesa degli ultimi ritardatari; dalla colletta tra gli ultras per pagare le spese il ritiro, sino alla mazzata finale: l'esclusione della Torres da tutti i campionati.

Il colpo d'autore è della Figc regionale, che fa ripartire la nuova Torres dalla Promozione, anziché – come di solito avviene in questi casi – dalla serie D o dall'Eccellenza.

La Torres però si rialza lo stesso, e riparte. Nulvi, Borore, Bosa, Macomer, Samassi. Tutti i bassifondi della geografia calcistica della Sardegna battuti palmo a palmo. Ingoiando a testa alta tutta l'ostilità dovuta a chi non abbassa il proprio vessillo ultracentenario e non rinnega una rivalità storica neppure di fronte a una squadra che gioca in serie A e va in diretta su Sky.

Ci siamo passati, e ce ne vantiamo.

Ivrea è stata la porta dell'inferno, ma Sarno non sarà certo la porta del paradiso. Con questa tappa la Torres chiude semplicemente il capitolo più nero della sua storia, in attesa di rivedere veramente la luce.

Milleseicentodiciassette giorni più tardi, ottocentonovantuno chilometri più a sud, siamo sempre noi. Chissi di l'annu tre.

 

© Andrea Sini - Associazione Memoria Storica Torresina - 2011
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